DAL REDAZIONALE DI BARCHE MAGAZINE – MARZO 2023

LG-Yacht è il nome del cantiere, Anvera è il brand. I soci fondatori sono tre, Giancarlo Galeone, Luca Ferrari e Gilberto Grassi. Dopo 25 anni di lavoro assieme nel Gruppo Ferretti, hanno dato il via a questa nuova avventura. Gilberto Grassi è stato per molti anni direttore di produzione e responsabile del centro stile del Gruppo Ferretti. Luca Ferrari fa da sempre parte della famiglia Ferretti, non in senso figurato, ma letterale, visto che sua madre è stata una delle fondatrici di Ferretti. Si è sempre occupato di ricerca e sviluppo e ha varato diverse centinaia di prototipi nella sua carriera. Giancarlo Galeone si occupa di General Management per Anvera e anche lui ha lavorato a lungo nel Gruppo Ferretti. 

Partiamo dalla fine. O meglio, da quello che mi viene in mente dopo alcune ore in ascolto di Giancarlo Galeone, Luca Ferrari e Gilberto Grassi che mi raccontano i sette anni di storia del cantiere Anvera. Mi rendo conto che, parlando, non hanno mai utilizzato la parola rib per definire i loro prodotti, nemmeno una volta, in poche occasioni gommoni, ma, soprattutto, nel 95% dei casi hanno usato il termine imbarcazioni. Questa definizione spiega molto della filosofia di Anvera.

Adesso riavvolgiamo il nastro e torniamo all’inizio. «La prima volta che ci siamo messi intorno a un tavolo per abbozzare il progetto era la fine del 2014», racconta Giancarlo Galeone. «Di una cosa eravamo certi: volevamo fare qualcosa che ci piaceva. Qualcosa che sentivamo nostro». Quelli erano i tempi nei quali il day cruiser iniziava a farsi strada. Sempre più cantieri sviluppavano barche di questa tipologia e i tre soci fondatori hanno deciso di aggiungersi a quell’onda che iniziava a formarsi. Bisognava fare però qualcosa di diverso. Qualcosa che ancora non c’era. Il carbonio non era un oggetto sconosciuto, ma molti di quelli che dicevano di usarlo, forse non lo facevano nel modo giusto.
«Quella del composito è una tecnologia nota sin dagli anni ’90», afferma Luca Ferrari. «Prima nel mondo racing delle barche a vela e subito dopo nell’offshore. Ricordo il 48 HP disegnato da Buzzi, una barca bellissima, forse perfino troppo avanti per quei tempi. Se ci fosse ancora oggi non sfigurerebbe, né come design, né come performance».

La caratteristica di Anvera è quella di usare il carbonio con la resina epossidica e di fare tutto all’interno, senza rivolgersi a terzisti. Il risultato è dato dalla leggerezza e resistenza, bassi consumi e qualità destinata a durare nel tempo. Non a caso i modelli di Anvera, in crociera, consumano dai 3 ai 5 litri per miglio a seconda della taglia e della potenza dei motori. La particolarità che li distingue da altri è che tutto, ma proprio tutto, è fatto in carbonio.
Non solo la sovrastruttura o alcune parti per alleggerire il dislocamento complessivo, e nemmeno solo alcuni rinforzi dello scafo. Full carbon quasi maniacale, visto che perfino le staffe del motore sono fatte in carbonio. Hanno fatto uno stampo in acciaio e poi lo hanno realizzato in composito con il vantaggio della riduzione di un quarto del peso, mantenendo la stessa
resistenza dell’acciaio. Per realizzare imbarcazioni in questo modo serve una struttura adeguata.

A Misano Adriatico per prima cosa si vernicia lo stampo. Anche la verniciatura è interna perché così possono soddisfare le esigenze più estrose che arrivano dagli armatori. Gli stampi delle carene sono spezzati a metà perché, in questo modo, è più facile posare le fibre di carbonio. Se lo stampo fosse un pezzo unico, per stendere il composito nella zona di prua bisognerebbe lavorare probabilmente a testa in giù. La V è stretta e serve per fendere bene l’onda, ma è anche angusta per chi ci deve lavorare in fase di costruzione. Con lo stampo diviso a metà in senso longitudinale questo problema non c’è. Prima si fa metà carena, poi l’altra metà e poi si passa alla fazzolettatura che unisce queste due parti. Ovviamente c’è il sottovuoto e per riuscire a realizzare tutto all’interno del cantiere serve una precottura di tutti gli elementi che vengono montati a bordo: paratie, madieri, paglioli, hard top e perfino mobiletti. E, infine, si arriva alla cottura finale che consente di omogenizzare tutto il carbonio steso insieme alla resina epossidica. La cottura finale con tutta la barca già montata si fa a 75° e dura almeno 14 ore e altrettante ce ne vogliono per il raffreddamento. I tempi sono lunghi, ma sono quelli necessari per fare un prodotto di qualità. L’altra particolarità che mi ha colpito è che non è lo stampo che si sposta all’interno del cantiere, ma il forno. Di solito si è abituati a vedere le linee di produzione con la carena che si sposta a cui viene aggiunto tutto quello che ci sta all’interno e poi la coperta a chiudere. Il ciclo è lo stesso, ma da Anvera è il forno che si muove. I forni poggiano su delle ruote che permettono la movimentazione all’interno del capannone. La loro modularità, invece, consente di adattarsi alle diverse dimensioni delle imbarcazioni, visto che la gamma spazia dal 42 al 58 piedi. Il fermo stampo è molto più lungo di come avviene di solito, per esempio, per una barca in vetroresina, perché servono circa quattro settimane per stendere tutto il carbonio.
La conseguenza è che, nonostante Anvera disponga di tre capannoni per un totale di circa 6.000 m2, produce solo una dozzina di barche all’anno. Un cantiere tradizionale realizza la carena, la tira fuori dallo stampo e la poggia su quattro cavalletti per iniziare a montare le strutture. Ci impiega meno tempo e occupa meno spazio. «Un cantiere normale, non di maniaci come noi, con 6.000 m2 arriva a fare anche 50 barche all’anno», afferma Gilberto Grassi. «Ma non è questo quello che vogliamo fare. La nostra filosofia è fare pochi pezzi, bene. La nostra costruzione assomiglia di più al mondo della vela, quella di altissimo livello, piuttosto che a quella del motore».

E non è forse un caso che tra i collaboratori del cantiere c’è un progettista strutturista come Luca Olivari, che usava il composito già negli anni ’90 e progettò il Moro di Venezia e tanti altri scafi di Coppa America. Tutta questa cura nei dettagli, e questa qualità costruttiva, non è uno sfizio. Serve per soddisfare le esigenze degli armatori. I maxi rib, mi perdoneranno la definizione i titolari di Anvera, sono spesso dei tender, o di un mega yacht o di una mega villa. Ma sono anche dei mezzi piacevoli da timonare. E proprio gli armatori s’innamorano di queste imbarcazioni più di altre perché le possono condurre da soli.
Per questo richiedono uno standard di customizzazione molto elevato. C’è chi vuole il seggiolino ammortizzato, chi a una certa distanza dalla plancia, chi vuole l’ergonomia studiata su misura e perfino che indica dove collocare le manette sul cruscotto. E a tutto questo il cantiere è in grado di rispondere. Probabilmente anche per questo motivo chi ce l’ha se la tiene. Non ci sono molti Anvera usati in giro. E quelli varati navigano molto, ben più della media di una barca a motore o di un gommone. Il primo esemplare di 58 la scorsa estate ha fatto 1.500 miglia. Un 48 consegnato in primavera, è tornato a fare l’invernaggio in cantiere in autunno con 600 ore di navigazione. In pratica, in una stagione ha fatto quello che normalmente si fa in sei anni. E quando un armatore non vuole più scendere dalla sua imbarcazione, significa che è soddisfatto di ciò che ha acquistato.

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